Trrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr...
Era
come un'interferenza, un ronzio continuo nella mente, stava lì con
insistenza, non sembrava intenzionato a cessare. Forse il colpo preso
mentre lavavo i vestri: no, lo spigolo mi aveva
sfiorato appena la
nuca.
Sperai
che la dottoressa facesse in fretta, sentivo nella testa come uno
sciame d'api.
Con
una smorfia di dolore guardai le mie mani, stavo invecchiando, anche
il rilassante ticchettio dell'orologio sembrò evidenziare le rughe
delle mie mani, e intanto mi chiesi se, a soli 52 anni, fosse normale
avere già le mani così rugose.
Claudio
andava su e giù per la stanza, lo vidi rigirarsi la fede
nell'anulare. Cattivo segno, forse il mio grido lo aveva
terrorizzato. Si, doveva essere così, glielo lessi negli occhi
acquosi che scrutavano minuziosamente il pavimento lucido della sala
d'attesa.
Qua
e là notai delle macchie verdastre <<Chissà, sarà caduto
dell'antibiotico. Alquanto antigenico per essere la sala d'aspetto di
una guardia medica>> pensai.
Ma
non ebbi né la voglia né la forza per discutere, sentivo la testa
pesante, come se stesse per scoppiare.
Fuori
intravidi la divisa della guardia giurata mentre fumava un sigaro,
non lo vidi per un po' e dopo un tempo che non riuscii a definire
tornò dentro. Fece scorrere la porta a cellula automatica portando
con se l'aria gelida tipica di una notte invernale inscurita dalla
tremenda tempesta che si era impadronita del paese dal pomeriggio;
uno dei peggiori temporali di tutto Dicembre.
Lampi,
tuoni, un buio penetrante da far paura anche all'imponente guardia
giurata che mi sorrise affabilmente: un bel sorriso, denti bianchi,
tutti perfettamente allineati, capelli corti e fisico scultoreo che
mi diede sicurezza.
<<Bene
– pensai – così in caso di emergenza i pazienti e la dottoressa
saranno al sicuro, ma cosa potrà mai succedere in un paesino come
questo? Certe cose accadono solo nei film!>>.
Intanto
Claudio si sedette accanto a me e, con aria fin troppo sveglia per
essere le tre di notte, mi fece che dall'ambulatorio la dottoressa
sembrava si fosse liberata.
Ecco
dopo appena un minuto, la porta si spalancò, io e Claudio ci alzammo
ma la dottoressa ci fece segno di pazientare ancora qualche minuto;
in quel preciso istante un lampo illuminò le tre piccole stanzette
dal quale era composta a guardia medica e solo qualche secondo dopo
un boato assordante ci fece piombare nell'oscurità.
Istintivamente
mi aggrappai al braccio, ancora muscoloso nonostante i suoi 56 anni,
di Claudio. Non avevo paura del buio, ma l'improvvisa mancanza di
luce sommata al penetrante ronzio mi disorientarono.
Dall'ambulatorio
sentimmo un gridolino della dottoressa e, subito dopo, il cigolio
della porta socchiusa che si spalancava.
Un'infantile
voce melodiosa sussurrò:
<<Roberto?>>
la guardia giurata fece un grugnito infastidito per tutta risposta,
la dottoressa continuo:
<<Andresti
a controllare se è il salvavita che è saltato?>>.
<<Non
credo – rispose Claudio – ci dev'essere un black-out in tutto il
paese, anche i lampioni e le luci del parcheggio sono saltate>>;
seguì
un rumore di passi e appena dopo prese vita un ronzio simile a quello
che rimbombava nella mia testa e all'istante si accesero le luci
bianco bluastre dei neon posti all'ingresso e sopra la porta
dell'ampio ambulatorio.
Ci
guardammo tutti, quasi freneticamente. Claudio infastidito, la
dottoressa impaurita, la guardia giurata impassibile con quel mezzo
sorriso ancora stampato sul viso e io....io non lo so, più passava
il tempo più il dolore aumentava e la mia mente era come annebbiata.
La
dottoressa mi fissò e quasi leggendo nei miei occhi il dolore
lancinante che provavo mi disse di entrare nell'ambulatorio.
Attraversai
la sala d'aspetto e, mi sembrò di dover sostenere una prova
d'agilità: tentavo di scansare le enormi macchie d'antibiotico
divenute fosforescenti.
Boooooooooooooooooom!!
Un
vibrante boato fece volgere i nostri sguardi verso la vetrata. Scorsi
un uomo dalla pelle albina, indossava uno scuro mantello lungo sino
ai piedi. Gesticolava freneticamente, muovendo le labbra senza
emettere alcun suono.
Con
il volto terrorizzato batteva i sudici pugni contro la vetrata.
Rivolsi
il mio sguardo prima a Claudio, poi alla guardia giurata, ma entrambi
avevano il loro fisso sull'uomo dall'aria sinistra.
Improvvisamente
sentii la mia testa come immergersi in una bolla d'aria bollente e
sentii il mio corpo scivolare pesantemente sul gelido pavimento.
Quando
mi risvegliai mi ritrovai distesa su un divano, in una stanza che
supposi fosse l'ambulatorio.
Ero
sola. La porta socchiusa attutiva la voce che proveniva dall'altra
stanza.
Mi
avvicinai, senza far rumore, alo spiraglio. Da li potevo intravedere
la guardia giurata e un altro uomo, chiaramente riconoscibile grazie
al mantello che notai essere ampiamente impregnato di antibiotico
fosforescente sui lembi che strisciavano sul pavimento.
L'uomo
farfugliava silenziose parole straniere. Solo dopo un po' capii che
era danese.
<<Che
fortuna!>> pensai. Sapevo parlare il danese.
La
guardia si alzò e disse:
<<Giulia
puoi venire un attimo?Ti devo parlare in privato>>.
Li
vidi venire verso me. Come una bimba timorosa d'esser scoperta mentre
spia mi precipitai sul divano e feci finta di non essermi ancora
ripresa.
I
due entrarono e si chiusero la porta alle spalle.
<<Che
c'è?>> esclamò la dottoressa preoccupata.
<<Quell'uomo
è pericoloso! Devi restare qui. Io e Claudio lo calmeremo poi
chiameremo la polizia>>.
<<Come
fai a...>> non riuscì a finire la frase perché lui la baciò.
Lei sospirò e poi sussurrò:
<<Fai
attenzione>>
<<Tranquilla
– rispose lui – ho la mia pistola in caso di emergenza>> ma
quando tastò sul fianco, la custodia era vuota.
<<Maledizione!
Ho lasciato la pistola nella guardiola!>> e uscì sbattendo la
porta alle sue spalle.
Notai
che aveva un tono di voce particolare, come se stesse fingendo. E
quel bacio, quel tono premuroso, contrastavano col grugnito con cui
aveva risposto prima alla dottoressa.
Dopo
questi pensieri decisi di alzarmi fingendo di essermi appena ripresa.
La
dottoressa era seduta dietro la sua scrivania e quando mi vide
riprendere i sensi mi chiese a mio parere inutilmente:
<<Signora,
è lei che dovevo visitare da prima?>>.
Risposi
di si flebilmente recitando perfettamente la parte di una che si è
appena ripresa da uno svenimento.
Mi
fece accomodare sul lettino e dopo avermi accuratamente visitata si
avvicinò alla scrivania e prese un blocchetto per le ricette. Fece
appena in tempo a sedersi che udimmo uno sparo.
Il
mio sguardo e quello della dottoressa si incrociarono per una
frazione di secondo. Subito balzai giù dal lettino e la dottoressa
mi seguì con aria ansiosa.
Aprii
la porta e sotto il neon vidi Claudio disteso a terra in una pozza
rossa.
Il
maglione bianco evidenziava il sangue, che mischiandosi con le
macchie d'antibiotico rendeva spettrale il lucido pavimento su cui si
rifletteva la sua sagoma inerme.
Aveva
ancora gli occhi aperti. Bianchi; l'occhio si era capovolto
nascondendo l'iride. Un'espressione di terrore attraversava il suo
volto illuminato a intervalli più o meno regolari dai lampi che
penetravano dalla finestra appena sopra il suo corpo.
Non
ebbi neppure la forza di gridare.
Mi
avvicinai al cadavere senza neppure domandarmi chi fosse l'omicida.
Mi
chinai e gli chiusi le palpebre.
Una
goccia cadde sul suo volto inumidendo quella guancia ormai inerte per
l'eternità.
Chinandomi
le mie la mie labbra sfiorarono le sue, labbra consapevoli che quello
sarebbe stato il nostro ultimo bacio, il nostro ultimo momento di
serenità prima che la mia furia si scatenasse contro l'assassino.
Mi
alzai. Le mani impregnate dal liquido viscoso che circondava mio
marito.
Mi
voltai.
Avvolto
da un silenzio agghiacciante contemplai la guardia e lo straniero.
Fissai
poi l'inconsapevole complice del delitto. L'arma.
La
vidi silente su una panca, posta esattamente al centro tra gli unici
possibili colpevoli, vicino a Claudio.
Li
scrutai attentamente tentando di scorgere nei loro sguardi un senso
di soddisfazione o un'ombra di follia.
<<Chi.
Ha. Ucciso. Mio. Marito?>> sibilai scandendo bene ogni parola.
<<Io?
Ho proprio detto prima a Giulia di temere lo straniero! Vede...io e
Claudio labbia rinchiuso nella guardiola, ma è riuscito ad uscire
rompendo il vetro, così, mi ha rubato la pistola e ha ucciso suo
marito>>.
Il
Danese chiese su cosa discutevamo. Tradussi tutto e lui si difese
dicendo:
<<E'
vero hanno tentato di chiudermi nella guardiola e ci sono riusciti.
Una volta dentro ho guardato attraverso il vetro e ho visto la
guardia e suo marito discutere. Quando quest'ultimo ha detto qualcosa
a denti stretti la guardia l'ha sparato facendolo cadere a terra
proprio dove si trova in questo momento. A quel punto ho rotto il
vetro e sono uscito qui fuori>>.
Avevo
ascoltato attentamente.
La
dottoressa tremava fissandomi con aria perplessa poi esclamò:
<<Mette
in dubbio la divisa di Roberto?>>
<<Non
mi interessa il ruolo che ricoprono questi uomini! L'unica cosa che
voglio è sapere chi ha ucciso mio marito e perché!>>.
Sentii
il sangue ribollire nelle vene e immersa nella mia apatia iniziai a
ripensare all'assurdità di quella notte.
Furia
e smarrimento iniziarono a mescolarsi in me. <<Devi stare calma
Rebecca – continuavo a ripetermi – devi tenere la calma o non
scoprirai mai chi ha commesso questo efferato gesto>>.
Non
mi fidavo della guardia, ma neppure lo straniero con il suo sguardo
sinistro mi sembrava totalmente innocente.
Nel
silenzio il ticchettio dell'orologio sottolineava che ero li da soli
quaranta minuti, ma a me sembrava passata un'eternità. Mi accorsi
anche che il ronzio era passato; avevo la mente libera.
Poi
come in un libro horror mi venne un'illuminazione.
Rimasi
frastornata. Nella mia testa si accumularono una serie di indizi.
<<Pff...indizi!>> mi venne quasi da ridere.
Mi
accorsi che era come uno di quei giochi della settimana enigmistica.
Una serie di puntini si unirono piano piano delineando il profilo del
colpevole.
Ero
sicura. Sapevo chi aveva ucciso l'uomo che amo. L'unica cosa che mi
rimaneva da scoprire era il perché. Non riuscivo nemmeno ad
immaginare una possibile motivazione.
Claudio.
Mio marito. L'uomo più pacifico che avessi ma conosciuto.
Decisi
allora di mettere alle strette il colpevole.
<<Signor
Roberto, ha per caso due paia di manette?>>
<<No
signora. Solo uno.>>
<<Va
bene, allora ci arrangeremo così>>
<<A
cosa le servono?>> esclamò la dottoressa sempre più perplessa
e spaventata.
<<Vorrei
ammanettare la guardia e lo straniero...sa, per ogni evenienza>>.
E
intanto traducevo la conversazione in danese.
Lo
straniero non oppose alcuna obiezione, la guardia al contrario
esclamò con tono indignato:
<<Io
sono una guardia giurata! Non ha nessun diritto di ammanettarmi ad un
assassino!>>.
Sorrisi
soddisfatta. Avevo ottenuto ciò che volevo e così ribattei con un
pizzico di malignità:
<<Ha
forse qualcosa da nascondere?>>
<<Certo
che no!>>
<<E
allora che problema c'è? Dimostrerò la sua innocenza>>.
Interdetto
acconsentì. Li feci accomodare e, come mossero alcuni passi notai
che le mie congetture erano esatte!
Li
ammanettai alla panca spostando la pistola con un fazzoletto.
Ero
più o meno tranquilla. Nonostante fossi sicura di aver ragione avevo
le mani sudate. Non avevo un movente ma avevo le prove.
Iniziai
a parlare traducendo pian piano:
<<So
che è stato lei – iniziando mentre fissavo un punto tra i due
ammanettati – non so per quale motivo l'abbia fatto ma ne ho la
certezza>>
<<Come
fa a saperlo?>>
<<Ho
forse detto che il colpevole è lei? Ho per caso fatto il suo nome
signor Roberto?>>; sentivo alle mie spalle il respiro della
dottoressa crescere sempre più e poi vidi la guardia mordersi il
labbro.
<<Ho
ragione dunque!>> esultai. Bisbigliò qualcosa di
incomprensibile ma io continuai:
<<Ho
sentito il tono premuroso con cui si è comprato la signorina Giulia
già visibilmente infatuata di lei! E come mai subito dopo il
black-out, qualche minuto prima, le aveva risposto con uno scortese
grugnito?>>
<<Ma
io...>>
<<Mi
lasci finire la prego! La notte è giovane. - Ghignai trionfante –
iniziai a non fidarmi di lei per questo. Notai in seguito che
conosceva mio marito per nome..”Claudio” - apostrofai – ma lo
straniero non ne era a conoscenza, perciò mi è stato subito chiaro
che non vi eravate presentati durante il mio svenimento...>>
<<Ma
l'uomo è Danese! Lui non capisce! Per questo non lo ha chiamato per
nome!>> sbraitò.
<<Come
avrà notato conosco bene in danese e so per certo che il nome
Claudio è identico sia qui che in Danimarca, perciò...>>
lasciai la frase in sospeso godendo appieno dell'irritazione
dell'uomo. Poi continuai:
<<Vi
ho poi fatto spostare e ho avuto la conferma definitiva della sua
colpevolezza. Lo straniero come può notare ha il mantello impregnato
di liquido fosforescente e spostandosi lascia una striscia al suo
seguito. Quando io e la dottoressa siamo uscite qui nella sala
d'attesa, sia lei che lo straniero eravate lontani da mio marito e
non c'erano tracce fosforescenti tra voi e il cadavere perciò non
sarebbe mai potuto essere il Danese ad ucciderlo>>
<<Maledizione!>>
sbraitò ancora Roberto in tono furioso.
Alle
mie spalle la dottoressa scoppiò in lacrime e sussultando chiese il
perché.
<<Lo
conoscevo da un po' d'anni suo marito. Ex finanziere. Lo incontravo
spesso prima di essere trasferito per colpa sua in questa maledetta
guardia medica in questo insulso paese.
Capitava
spesso che la sua squadra e la squadra di cui facevo parte si
incontrassero per dei blitz anti-droga.
Quella
maledetta sera! Se solo lui e la vostra maledetta auto non fossero
passati di li!>>.
Parlava
a denti stretti, con un astio che non avevo mai sentito prima in
nessuno.
<<Era
buio e il giorno prima avevamo ritirato un ingente partita di
cocaina...ero uno dei migliori in queste retate. Il mio capo si
fidava ciecamente di me, perciò mi diede l'incarico di portare la
droga al deposito dove sarebbe stata bruciata.
Ma
la sera, tornando a casa un pensiero mi balenò nella mente. Il poker
stava devastando la mia vita ma ormai ero dipendente e avevo un
disperato bisogno di denaro per pagare tutti i miei debiti.
La
mattina seguente da solo trasportavo la partita di droga. Mi fermai
in un viottolo e rubai tre panetti dal furgone sostituendoli con del
da.
Dopo
aver eseguito la consegna tornai a casa, la sera mi infilai la tuta e
uscii di casa con la mia volkswagen gialla. “Da troppo nell'occhio”
mi ricordo che pensai, ma dovevo sbarazzarmi di quella roba al più
presto possibile.
Svoltai
sicuro verso il vecchio centro storico ormai malandato e pullulante
di spacciatori.
Trovai
un uomo calvo con uno strano cilindro in mano, mi fermai e gli chiesi
se potevo vendergli la droga. Accettò facilmente...dopo poco notai
che un'auto si dirigeva verso di noi. Era una mercedes blu. Con i
fari mi accecò e poi sgommò.
Scese
un uomo imponente. Era Claudio. Mi colse con le mani nel sacco.
Chiamò il mio capo e il resto ve lo lascio immaginare.
Furono
i mesi peggiori della mia vita. Mi mandarono in un centro per
dipendenti da gioco e dopo avermi disintossicato dal poker mi
licenziarono. Anzi, fecero di peggio. Mi mandarono qui, in questo
posto dimenticato da Dio! Pieno zeppo di vecchi, dove il tempo non
sembra passare mai...>>
<<E'
stata una vendetta dunque!>> esclamai sconvolta. Anche solo per
un istante avevo sperato fosse stato un raptus di follia. E invece
no! L'uomo della mia vita mi era stato portato via da un giovane
frustrato.
<<Si
e stata una vendetta. Questa sera il destino ha giocato a mio favore.
Il temporale, lo straniero, il black-out! Tutto troppo perfetto per
non essere sfruttato. Quando siete arrivati l'ho riconosciuto
immediatamente, ma lui no...solo dopo aver rinchiuso lo straniero
nella guardiola si è accorto della mia identità.
Ho
rovinato la vita della persona che amava di più al mondo. Lei cara
Rebecca. A lavoro non faceva altro che dire che avrebbe dato la sua
vita per lei. Beh, l'ultima cosa che avrebbe voluto sarebbe stata la
sua infelicità. E invece eccola qui, triste come non mai. La miglior
vendetta che potessi mettere in atto!>>.
Uno
sguardo da folle mi fissava dritto negli occhi. Sentii
improvvisamente un vuoto dentro e un irrefrenabile desiderio di
morire. Fissai la pistola e mi diressi alla panca. La presi in mano e
mi vennero in mente Romeo e Giulietta.
“Oh
qui, io fisserò il mio sempiterno riposo e scoterò da questa carne
stanca del mondo il giogo delle avverse stelle, occhi guardatela per
l'ultima volta, braccia prendete il vostro ultimo abbraccio, e voi
labbra che siete la porta del respiro, suggellate con un leale bacio,
un contratto con la morte che tutto rapisce”.
Boooooooooooooom!
Un
dolore atroce.
Il
buio.
Un
altro corpo inerme.
Il
mio fallito suicidio.