lunedì 16 luglio 2012

Coltivare: i sogni e le passioni.

La casa stava arroccata su una collina piena di piccoli arbusti di un verde intensissimo.
Aveva un tetto piatto e all'interno tutti i mobili erano in legno di ciliegio e ognuno aveva su di se un centrino. Quel pomeriggio però la casa era vuota, regnava i silenzio mentre i raggi delle sei di pomeriggio di una torrida estate filtravano tra i buchi delle tende finemente ricamati da mani esperte.
Sul retro però la porta era socchiusa e una donna, paffuta e vestita di rosso portava sulla mano sinistra un tubo di plastica dura totalmente nero.
L'acqua fuoriusciva da esso e quasi con rabbia si schiantava sulla terra, inumidendola, inscurendola, facendo esplodere nell'aria ogni odore in essa contenuto. L'acqua sgorgava irrigidendo i gambi e ravvivando le foglie.
Goccioline, fini come rugiada scivolavano su una buccia violacea, rimanevano incastonate tra le invisibili spinuzze di una superficie bianco verdastra, ingiallivano le creste di quelle enormi carrozze, arrossavano i timidi globi fino a poco tempo prima verdi d'invidia come le foglie di ghirigori poste al loro fianco.
La natura fioriva e lei la osservava, fiera, soddisfatta.
Un sogno insolito forse, ma la sua casa appena fuori dalle porte di Roma, immersa nel suo giardino, nel suo orticello, nei suoi fiori, la facevano felice e le davano la tranquillità necessaria nei pomeriggi di preparazione al ricevimento dei suoi 7 figli e dei suoi innumerevoli dolci nipotini.

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