mercoledì 25 luglio 2012

(Sarebbero state possibili....) Stelle cadenti.

"Rob stava lì, nella sua officina, le mani sporche di grasso così come la sua tuta.
La tv era accesa, nonostante l'orario lui era chiuso li dentro, col carrello sotto una macchia a controllare quel motore di una vecchia golf ormai troppo stanco per reggere i ritmi del suo proprietario.
La telecronaca di una partita della nazionale riempiva l'aria afosa di quell'estate. 
Rob se la ricordava bene quella sera, ricordava ancora adesso i brividi sulla sua pelle abbronzata per natura e la sua peluria sull'attenti dinnanzi a quell'emozione che credeva di aver dimenticato.
<<Materazzi crossa, passa a Del Piero eeee....maledizione! Grande occasione sprecata per i nostri azzurri!>>
La mente a quel mondiale del 94, quell'occasione sprecata, quel goal rubato, quel calcio di rigore fallito, quella traversa tanto temuta.
Ricordava ogni singolo secondo di quei 90 minuti di quella partita Italia-Brasile...quel 3-2.
Ricordava le lacrime sui suoi occhi, ricordava i compagni, la delusione negli occhi dei tifosi presenti nello stadio; sentiva addosso la pesantezza della sconfitta, causata per mano sua, designatrice della fine d'un sogno.
E in quel momento i suoi pensieri volarono ai suoi ex amici e compagni di squadra ora grandi allenatori e businessman del calcio.
Lui se li ricordava i suoi sogni di ragazzo. Ma dopo quel mondiale nulla era stato più lo stesso. 
Tornato in Hotel, tutto lo staff continuava a ripetere che erano una squadra, rappresentanze di una nazione, che non era stato lui a farlo perdere bensì era stata la squadra a non aver avuto abbastanza forza per vincere quelle belve brasiliane dai piedi leggeri e il cuore infuocato.
Ma una volta nella sua stanza, lo specchio fu testimone del suo giuramento: all'età di 37 anni era giunta l'ora di abbandonare quel sogno, di abbandonare la sua carriera da calciatore, la sua ascesa alla ricchezza e al successo nel mondo delle eccellenze sportive. 
Strinse tra le mani quella figurina panini che lo ritraeva sorridente e fiero dei sacrifici compiuti per arrivare fino a quel traguardo. Ma ora tutto doveva avere una fine.
Sarebbe tornato al suo paese, si sarebbe dedicato alla sua famiglia e sarebbe tornato all'anonimato, sarebbe tornato ad essere per i suoi figli quello che tutti i padri sono: un eroe della quotidianità, di quelli con le mani sporche e con le bollette da pagare a fine mese.
E quello era diventato Rob e mai, nemmeno per un secondo aveva rimpianto quella scelta, nonostante tutti, dai più grandi giornalisti al giornalaio della piazza principale, continuassero a sostenere e a commiserarlo per la terribile disgrazia che lo aveva escluso da quel mondo dorato per un errore all'ultimo minuto del mondiale."

lunedì 16 luglio 2012

Coltivare: i sogni e le passioni.

La casa stava arroccata su una collina piena di piccoli arbusti di un verde intensissimo.
Aveva un tetto piatto e all'interno tutti i mobili erano in legno di ciliegio e ognuno aveva su di se un centrino. Quel pomeriggio però la casa era vuota, regnava i silenzio mentre i raggi delle sei di pomeriggio di una torrida estate filtravano tra i buchi delle tende finemente ricamati da mani esperte.
Sul retro però la porta era socchiusa e una donna, paffuta e vestita di rosso portava sulla mano sinistra un tubo di plastica dura totalmente nero.
L'acqua fuoriusciva da esso e quasi con rabbia si schiantava sulla terra, inumidendola, inscurendola, facendo esplodere nell'aria ogni odore in essa contenuto. L'acqua sgorgava irrigidendo i gambi e ravvivando le foglie.
Goccioline, fini come rugiada scivolavano su una buccia violacea, rimanevano incastonate tra le invisibili spinuzze di una superficie bianco verdastra, ingiallivano le creste di quelle enormi carrozze, arrossavano i timidi globi fino a poco tempo prima verdi d'invidia come le foglie di ghirigori poste al loro fianco.
La natura fioriva e lei la osservava, fiera, soddisfatta.
Un sogno insolito forse, ma la sua casa appena fuori dalle porte di Roma, immersa nel suo giardino, nel suo orticello, nei suoi fiori, la facevano felice e le davano la tranquillità necessaria nei pomeriggi di preparazione al ricevimento dei suoi 7 figli e dei suoi innumerevoli dolci nipotini.

giovedì 5 luglio 2012

Quando un cuore senza un pezzo...

"Era li, tutto il giorno a fissare il voto perché il silenzio la assordava. Tentava di ignorarlo quel ronzio ma era più forte di lei.
All'inizio voleva riempirlo quel vuoto, ci lottava contro, tentava di sovrastarlo fino al giorno in cui le diedero il colpo di grazia.
Il suo corpo era diventato ignaro trofeo d'un uomo che dichiarava apertamente di voler giocare, di non curasi di niente e nessuno.
Lei glielo donava ma ogni volta che lui iniziava a sfiorarla il suo corpo era come se mettesse il pilota automatico. Talvolta lo dimenticava e a quella passione che ancora la teneva legata lui si lasciava andare. Rideva e le sue mani volavano ovunque, in ogni antro di quel corpo che conosceva bene come se stessa.
Ma appena la carne si consumava, non c'era nessuno sguardo ad aspettarla, nessuno sguardo ad amarla, solo la stanchezza e la voglia di dormire. E lei stava li, immobile, aspettando che Morfeo arrivasse sul corpo steso al suo fianco e così, non appena quelle palpebre si chiudevano, la sua anima iniziava a leccarsi le ferite, ennesime, plurime.
Ormai ne era certa, anche quello era una sorta di autolesionismo della quale però nessuno si rendeva conto. Un autolesionismo che non lasciava segni tangibili, ne cicatrici esposte all'aria, un autolesionismo che però lentamente la corrodeva da dentro e alla quale non riusciva a porre fine.
L'unico segno di autodifesa che le era rimasto era la chiusura. Del suo cuore, della sua anima, della sua mente. Tutto questo ormai lo teneva solo per sei e le PAROLE erano ancora una volta le uniche a correrle in soccorso."